U*** è di Matera.
Vecchia quercia, a settantatre anni non ha perso la naturale irrequietezza.
E’ il suo carattere: mai fermo.
Lo incontro che sono le otto del mattino e ha già percorso in lungo e in largo due volte l’intero centro città varesino.
Racconta – è un’altra sua caratteristica: mai zitto – e vale la pena ascoltarlo.
Oggi parla di tempi lontani:
“Da ragazzino, correvo sempre.
Fine anni Quaranta, nella città dei sassi.
Alla mattina, mio padre mi dava le monete necessarie e mi spediva a prendere il vino.
Portavo con me la bottiglia.
Sui ciottoli, specie se bagnati, veloce e sventato come ero, scivolavo spesso e volentieri.
Poteva capitare allora che la bottiglia andasse in frantumi.
Se occorreva all’andata quando era vuota, una volta a casa una bella sgridata e via.
Se occorreva al ritorno a bottiglia piena, un paio di sberle bene assestate.
Mi salvavo solo quando mi facevo qualcosa.
Una sbucciatura, un taglio…
Allora, qualche carezza e qualche coccola.
Sai che ti dico: valeva la pena farsi male!”
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