
Fine anni Novanta. Autunno. Una di quelle serate da tregenda.
Lampi, tuoni, vento, pioggia scrosciante e, all’improvviso, una lama di luce che, di sbieco, si fa largo tra i nuvoloni: il Maggiore mi appare, se possibile, ancora più bello.
Chissà perché, sono a Laveno e, godendomi appieno lo schiaffo in faccia delle raffiche gelate e umide, in piedi, guardo le acque agitate da sotto la tenda collocata all’esterno di uno dei tanti caffè che aprono i loro battenti sul lungolago.